giovedì, maggio 7

Don’t Hass with the Hoff (Ridateci Mitch Buchannon)

Ho bene impressa la nascita di Banhalen (vecchio blog ora scomparso, ndr), la sera in cui ci sono arrivati i dati di accesso al database e con Andrea ci siamo messi davanti al pc per installare tutto. Lo ricordo come fosse ieri anche se è già passata una settimana.

Abbiamo cenato con hamburger fatti in padella che più si cuocevano e più le fibre quasi sintetiche della carne si stiravano ovalizzandoli e perdevanp quell'acquetta oleosa ricca di antibiotici e chissà cos'altro grazie ai quali il buon manzo è stato tirato su.
Gli stessi alimenti di cui si nutre la parte ricca del mondo, gli stessi antibiotici consumati da uomini, donne e bovini. Gli americani che hanno iniziato prima di tutti a consumarne (fanno sempre tutto prima degli altri, sopratutto se si tratta di cose assurde e insalubri) hanno cominciato a mangiare questi hamburger ovali 3 o 4 decenni fa e son sicuro che i corpi gonfi, tipici da serie tv, siano frutto anche di questa alimentazione. Infatti, dopo un paio di decadi di hamburger ovali agli antibiotici siamo negli anni '80, gli anni dove si son confuse tante cose, la moda ed il gusto con il trash ma soprattutto corpi turgidi presi per corpi sodi.
E allora se parlo di copri turgidi ed abbronzati, trash, spiaggia e hamburger non ti faccio venire in mente David Hasselhoff, icona ottanta-novanta, Mitch Buchannon bagnino giusto e bello?
Mitch è uno di quei fisici che han fatto sognare generazioni di adolescenti, statuario e sicuro, rapido nella corsa, incurante del pericolo: se in ballo c'era una vita umana, entrava in acqua anche prima che fossero trascorse le tre ore dall'ultimo pasto. Attrezzato con cima a tracolla e galleggiante rosso dalla fattura idrodinamica si lanciava con guizzi sicuri verso l'insidioso oceano, contraendo a ritmo dance i pettorali turgidi sui quali migliaia di ragazzine avrebbero voluto addormentarsi.
Pettorali che anche migliaia di ragazzini arrapati avrebbero desiderato, magari per conquistare altre forme artificialli, quelle di Pamela.
Baywatch ha segnato il passo di una decade che ha dato tanto. Gli ottanta trascinavano in un'abisso di cattivo gusto, come un Re Mida al contrario, tutto ciò che toccavano. Si è spostato dalla contea di Los Angeles per andare alle Hawaii, ma questo tentativo di rianimare la carcassa di un format in decomposizione ebbe misera sorte: i corpi ormai raggrinziti non hanno retto l'impatto con gli anni zero. Gli anni di cui siamo figli, nei quali si è consumata la nostra formazione. Mattinate a casa marinando le elementari, guardando Mitch e compagnia prima di McGyver e subito dopo Lessie.
Vivere gli ottanta, superare i novanta, affermarsi negli zero e dominare i dieci è difficile, se non impossibile. L'alchimia necessaria per realizzare tale utopia è sconosciuta agli americani, pare invece essere ricetta segreta nelle gelose cassaforti dei centri di produzione Rai, che l'hanno sperimentata su di uno sparuto gruppo di pionieri guidati da Lino Banfi e Terence Don Matteo Hill. Il campo della riesumazione artistica è una prateria sterminata, è la nuova frontiera, l'antico west ormai cronologicamente coincide con le nostre date di nascita, conquistarlo è impresa ardua. Chi ce la farà? Riusciranno i pallidi tecnici italiani a respingere l'assalto all'arma bianca degli assatanati produttori statunitensi? Riuscirà il carrozzone nomade organizzato da The Hoff per celebrare gli '80 e '90 a far breccia nel vecchio continente?
Domande importanti, ma ricollegando le sinapsi al precedente ragionamento, torniamo a Baywatch. Come si sa' tutte le cose belle sono destinate a finire, quindi la serie chiude e la carriera di David comincia ad attraversare dei momenti di magra, a tratti vera e propria fetida stagnazione, dalla quale è difficile uscire.
Dopo aver tentato quindi di tornare indietro nel tempo, rimangiare hamburger ovali e ricchi di antibiotici per gonfiare un fisico ormai flaccido, pendente sotto l'effetto gravitazionale di un mondo che sempre più si sta dimenticando di lui, ecco che David con un vigoroso colpo di reni tenta di riallacciare gli arruffati fili di una fallimentare carriera musicale che tuttavia ha lasciato al mondo perle di rara e luminosa intensità.
Ma non è certo per questo video o per i pettorali abbronzati dal sole di Los Angeles che David riempie ancora la mia bacheca di Facebook (vi consiglio il mi piace alla sua pagina) ma per la voglia di esserci ancora, di essere protagonista nella vita di la qualunque. È questa tenacia che disegna la stoffa da grande artista che riveste i cuori di chi lo ama.
Eccolo allora farsi autoscatti in compagnia di chiunque incontri, al ristorante o per strada ed ecco anche la comoda possibilità messaci a disposizione da Google in persona di modificare le nostre foto delle vacanze con gif animate del nostro personaggio preferito.
Il buon gusto lasciamolo agli altri

David rimarrà un uomo che ha segnato la mia vita ed ogni giorno, appena sveglio, guardando fuori nel parcheggio spero di vederlo scendere dalla sua macchina parlante e mi fa': "dai Giacomo scendi che ci famo cappuccio e brioche!"

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