sabato, novembre 5

Vetrine di uno zoo

Vederli muovere li dentro, osservarli da fuori. (Consapevoli di essere quelli liberi).
Questo era l'intento con il quale, ogni giorno, o quasi, saltando magari quelli di pioggia troppo intensa, troppo poco proficui, cercava e probabilmente ci riusciva anche, di giustificare la sua presenza li. Sempre nello stesso posto, sempre a guardare le stesse scene, ripetute, uguali a se stesse.

Anche se nei dettagli, no.

Quando ci si trova a muovere all'interno di uno spazio stretto, lui lo sa bene, i movimenti vengono necessariamente codificati e diventano ripetitivi, ripetuti fino all'esaurimento del moto, probabilmente oltre la noia. Lo sapeva bene lui, lo sapeva perché anche lui era stato rinchiuso, dietro sbarre solide. Materialmente molto più solide di quelle che imprigionano i suoi attori ma più evadibili, ha valutato tante volte. Forse le uniche gabbie dalle quali il recluso pensa costantemente di uscire, un pensiero fisso, un compagno di prigionia, il migliore spesso, quello che ti fa rimanere sano, ma non sempre. Potrebbe installarti un pensiero, un germe, questa semplice idea che da dentro poi potrebbe erodere e consumarti progressivamente. È un compagno di viaggio rischioso. In questo stato di sbarre c'era rimasto per un po', a lungo, ma poi il tempo ha smesso di dilatarsi per iniziare a comprimersi e il susseguirsi di anni si è fatto instabile, per la troppa poca velocità. Ora stare fuori, poter respirare e muoversi liberamente aveva un carico di emozioni, prima dimenticate. Guardali, vedi, guarda lui, ora andrà li dietro. Quello gli piacerà.
Conosceva già, o almeno sapeva prevedere con grande precisione, i movimenti di cui era spettatore, sapeva i gusti di quei reclusi anomali. Rinchiusi innocenti. Ora non più.

Li guardava sorridere, di cosa? Li guardava provare, cosa? Li guardava spendere, per cosa? Li guardava passare da quelle vetrine, passare per quelle casse e uscire da quelle porte sorridenti. Prigionieri volontari, non troppo ma non giustificabili, di un'apparenza, di un gusto estetico a lui sconosciuto. Prigionieri del sorriso dopo aver speso un sacco di tempo e soldi in quei negozi di vestiti. Faceva freddo e aveva fame. “Sono belli sorridenti, hanno speso soldi e hanno vestiti”. Con questo ragionamento è partito, due strattoni, le urla, le guardie che intervengono immediatamente. Cercavo solo di liberarli da una loro gabbia. 

Ora ci finisco io.

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