venerdì, gennaio 10

In Italia si legge poco e pubblica male

ho scritto per Zeroblog

L'asserto che lega il fatto che sempre meno italiani leggano i libri, digitali o cartacei è dovuto alla sempre maggiore diffusione di internet, vuoi per un maggior accesso alla rete, vuoi per la diffusione di terminali portatili è falso. È falso per svariati motivi, in primo luogo basta vedere cosa accade in paesi come Francia o Germania. In Germania l'accesso alla rete, la diffusione di internet è maggiore che qui da noi eppure oltre l'82% di tedeschi legge almeno un libro all'anno contro il 46% degli italiani, quasi il doppio.

Questo è solo un esempio, quindi non si può formulare l'ipotesi che più internet è diffuso in un paese, più i suoi abitanti leggono, ma certo si può dire che diffusione di internet e libri letti sono due dati inconsistenti.
Luca Sofri, direttore del Post, ha scritto ieri un pezzo sulla fine dei libri e in alcune cose che dice ci azzecca, concordo sul ruolo sempre più marginale del libro nella costruzione della, ma nella sostanza più profonda sono d'accordo con Gianluca Briguglia che gli risponde sempre dalle pagine del Post con una difesa non romantica dei libri. Condivido l'impostazione di Briguglia e non mi dilungo portando altre motivazioni a giustificare la sua tesi, bastano le sue e vi consiglio la lettura del pezzo. Mi interessa concentrare l'attenzione su due aspetti: il primo, ne parla anche Sofri, sulla brevità dei testi in rete, il secondo sulla proposta editoriale che troviamo in libreria.
La brevità del contenuto in rete è dovuto alla mancanza di educazione e cultura del pubblico. Il direttore del Post, dirigendo una testata online di grande successo, sa bene quanto sia importante il numero di click,il numero di visitatori. Sa bene quanto i quotidiani cerchino di accalappiare lettori, di rimbalzarli da una pagina all'altra del proprio portale. Prendere lettori, tenerli nel proprio sito significa proporre contenuti consumabili dal pubblico al quale ci si rivolge e purtroppo il pubblico è fondamentalmente ignorante con una scarsa attenzione e per questo gli si propongono contenuti immediati, brevi. La colpa è di entrambi, da un lato di chi non legge, di chi è quel 54% di italiani che non dedica tempo alla lettura, che consulta i quotidiani mentre fa dell'altro sul suo smartphone e che quindi richiede articoli brevi, senza approfondimento, senza nessuna pretesa e dall'altro degli editori e dei giornalisti. Leggendo testate come Repubblica.it, il maggior quotidiano online italiano, raramente troviamo articoli esaurienti, completi, cosa molto più diffusa nei quotidiani del resto del mondo, andiamo a scomodare il giornalismo anglosassone, complesso, esaustivo, competitivo, e pressoché privo di boxini morbosi sulla destra.
È vero che il pubblico apprezza il contenuto breve ma fino ad un certo punto. Guardiamo Carmilla, sito diretto da Valerio Evangelisti, è uno dei più visitati da anni. Fa a meno di ogni stratagemma, non ha commenti, non ha foto curiose o notizie civetta, è un blog culturale con una scelta editoriale precisa: articoli lunghi, completi e competenti e ha pubblico, ha lettori ed è seguito.
Il problema della brevità o della lunghezza sta solo nella smania di monetizzare i contenuti e diseduca il lettore. Io mi sto muovendo nella direzione di abbandonare i siti superficiali, vedi Giornalettismo, privilegiando pochi contenuti ma di qualità, su quei siti che hanno fatto la scelta vincente di puntare su questi. È fondamentalmente una perdita di tempo leggere tanti articoli superficiali, non è informazione, è pessimo giornalismo e credo che di questo in molti se ne stiano accorgendo. Quindi gran parte della colpa della brevità dei contenuti reperibili in rete non è dei fruitori che così li chiedono ma di chi li produce che ha i suoi buoni -economici- motivi per farlo ma alla lunga non credo sia una strategia che premia.
Cosa centra tutto questo con i libri? Centra, perché se si vuole dare la colpa alla brevità del testo virtuale si sbaglia di grosso.
Dati Istat: tra il 2005 e il 2010 si è avuto un aumento del 6.8% di titoli pubblicati dei quali il 26,2% (per una tiratura del 40% sul totale) rappresentano volumi con un prezzo inferiore ai 10€ la soglia mentale della buona e vecchia banconota rosa dalla cifra tonda.
Questo sta a significare una maggiore produzione di libri a fronte di una costante dimunuizione dei lettori, le case editrici sono quantomai prolifere nel proporre sempre più titoli la cui qualità va via via scemando.
Il gioco è più o meno questo, si buttano nel mare del consumo culturale quante più reti possibili, quanti più titoli, sperando tra tutti di azzeccare un bestseller per pagare tutti gli altri.
Insomma viene fatta una selezione a posteriori proponendo al lettore una quantità di monnezza impressionante e a prezzi stracciati, libri che ti ammicano dalle scaffalature del supermercato con titoli tutti simili.
Mi viene in mente la moda attuale, libri nati sulla scia del Codice Da Vinci, misteri di monaci amanuensi, libri proibiti, cripte maledette, fateci caso, stanno sotto i 7€ e ci son dozzine di titoli del genere.
Mi si potrebbe dire, conosco gente che legge solo quel genere di libri, se non li pubblicassero leggerebbe ancora di meno e qui si entra in un problema spinoso. Questi libri tengono alte le vendite, consentono agli editori di pubblicare anche altro, volumi di nicchia, pubblicare meno ma di qualità potrebbe non essere una strada percorribile e quindi ecco che ancora una volta esce fuori il lettore, sopratutto il lettore forte che, ormai è in via di estinzione e può sempre di più essere il prtagonista, può sceglere di leggere solo certa produzione affossando definitivamente i Fabio Volo della banalità e i misteri dei monaci amanuensi.


Il problema in Italia è quindi quello che si legge poco e si pubblica troppo e in entrambi casi lo si fa male.

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