L'asserto che lega il fatto
che sempre meno italiani leggano i libri, digitali o cartacei è
dovuto alla sempre maggiore diffusione di internet, vuoi per un
maggior accesso alla rete, vuoi per la diffusione di terminali
portatili è falso. È falso per svariati motivi, in primo luogo
basta vedere cosa accade in paesi come Francia o Germania. In
Germania l'accesso alla rete, la diffusione di internet è maggiore
che qui da noi eppure oltre l'82% di tedeschi legge almeno un libro
all'anno contro il 46% degli italiani, quasi il doppio.
Questo è solo un esempio,
quindi non si può formulare l'ipotesi che più internet è diffuso
in un paese, più i suoi abitanti leggono, ma certo si può dire che
diffusione di internet e libri letti sono due dati inconsistenti.
Luca Sofri, direttore del
Post, ha scritto ieri un pezzo sulla fine
dei libri e in alcune cose che dice ci azzecca, concordo sul
ruolo sempre più marginale del libro nella costruzione della, ma
nella sostanza più profonda sono d'accordo con Gianluca Briguglia
che gli risponde sempre dalle pagine del Post con una difesa
non romantica dei libri. Condivido l'impostazione di Briguglia e
non mi dilungo portando altre motivazioni a giustificare la sua tesi,
bastano le sue e vi consiglio la lettura del pezzo. Mi interessa
concentrare l'attenzione su due aspetti: il primo, ne parla anche
Sofri, sulla brevità dei testi in rete, il secondo sulla proposta
editoriale che troviamo in libreria.
La brevità del contenuto in
rete è dovuto alla mancanza di educazione e cultura del pubblico. Il
direttore del Post, dirigendo una testata online di grande successo,
sa bene quanto sia importante il numero di click,il numero di
visitatori. Sa bene quanto i quotidiani cerchino di accalappiare
lettori, di rimbalzarli da una pagina all'altra del proprio portale.
Prendere lettori, tenerli nel proprio sito significa proporre
contenuti consumabili dal pubblico al quale ci si rivolge e purtroppo
il pubblico è fondamentalmente ignorante con una scarsa attenzione e
per questo gli si propongono contenuti immediati, brevi. La colpa è
di entrambi, da un lato di chi non legge, di chi è quel 54% di
italiani che non dedica tempo alla lettura, che consulta i quotidiani
mentre fa dell'altro sul suo smartphone e che quindi richiede
articoli brevi, senza approfondimento, senza nessuna pretesa e
dall'altro degli editori e dei giornalisti. Leggendo testate come
Repubblica.it, il maggior quotidiano online italiano, raramente
troviamo articoli esaurienti, completi, cosa molto più diffusa nei
quotidiani del resto del mondo, andiamo a scomodare il giornalismo
anglosassone, complesso, esaustivo, competitivo, e pressoché privo
di boxini morbosi sulla destra.
È vero che il pubblico
apprezza il contenuto breve ma fino ad un certo punto. Guardiamo
Carmilla, sito diretto
da Valerio Evangelisti, è uno dei più visitati da anni. Fa a meno
di ogni stratagemma, non ha commenti, non ha foto curiose o notizie
civetta, è un blog culturale con una scelta editoriale precisa:
articoli lunghi, completi e competenti e ha pubblico, ha lettori ed è
seguito.
Il problema della brevità o
della lunghezza sta solo nella smania di monetizzare i contenuti e
diseduca il lettore. Io mi sto muovendo nella direzione di
abbandonare i siti superficiali, vedi
Giornalettismo, privilegiando pochi contenuti ma di qualità, su
quei siti che hanno fatto la scelta vincente di puntare su questi. È
fondamentalmente una perdita di tempo leggere tanti articoli
superficiali, non è informazione, è pessimo giornalismo e credo che
di questo in molti se ne stiano accorgendo. Quindi gran parte della
colpa della brevità dei contenuti reperibili in rete non è dei
fruitori che così li chiedono ma di chi li produce che ha i suoi
buoni -economici- motivi per farlo ma alla lunga non credo sia una
strategia che premia.
Cosa centra tutto questo con
i libri? Centra, perché se si vuole dare la colpa alla brevità del
testo virtuale si sbaglia di grosso.
Dati
Istat: tra il 2005 e il 2010 si è avuto un aumento del 6.8% di
titoli pubblicati dei quali il 26,2% (per una tiratura del 40% sul
totale) rappresentano volumi con un prezzo inferiore ai 10€ la
soglia mentale della buona e vecchia banconota rosa dalla cifra
tonda.
Questo sta a significare una
maggiore produzione di libri a fronte di una costante dimunuizione
dei lettori, le case editrici sono quantomai prolifere nel proporre
sempre più titoli la cui qualità va via via scemando.
Il gioco è più o meno
questo, si buttano nel mare del consumo culturale quante più reti
possibili, quanti più titoli, sperando tra tutti di azzeccare un
bestseller per pagare tutti gli altri.
Insomma viene fatta una
selezione a posteriori proponendo al lettore una quantità di
monnezza impressionante e a prezzi stracciati, libri che ti ammicano
dalle scaffalature del supermercato con titoli tutti simili.
Mi viene in mente la moda
attuale, libri nati sulla scia del Codice Da Vinci, misteri di monaci
amanuensi, libri proibiti, cripte maledette, fateci caso, stanno
sotto i 7€ e ci son dozzine di titoli del genere.
Mi si potrebbe dire, conosco
gente che legge solo quel genere di libri, se non li pubblicassero
leggerebbe ancora di meno e qui si entra in un problema spinoso.
Questi libri tengono alte le vendite, consentono agli editori di
pubblicare anche altro, volumi di nicchia, pubblicare meno ma di
qualità potrebbe non essere una strada percorribile e quindi ecco
che ancora una volta esce fuori il lettore, sopratutto il lettore
forte che, ormai è in via di estinzione e può sempre di più essere
il prtagonista, può sceglere di leggere solo certa produzione
affossando definitivamente i Fabio Volo della banalità e i misteri
dei monaci amanuensi.
Il problema in Italia è
quindi quello che si legge poco e si pubblica troppo e in entrambi
casi lo si fa male.
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